Dal medioevo alle estreme propaggini neogotiche, «castello» evoca una struttura atta a custodire e difendere i valori fondanti, concreti e immateriali, di una stirpe. Simbolo di forza e di prestigio, con volumi possenti “morde” virilmente lo spazio e imprime nel paesaggio un indelebile suggello.
All’alba del Novecento, in temperie di eclettismo, la borghesia specchia ancora le proprie ambizioni nella tipologia del «castello», benché addomesticata dall’urbanistica moderna.
Castello Pozzi, voluto dall’imprenditore milanese della moda Claudio Tridenti Pozzi, antesignano del luxury brand e del flagship store, che già vedeva nella sua città la futura “capitale della moda”, sorge nella seconda metà degli anni Venti su progetto di Livio Cossutti, architetto impegnato nell’edificazione della manica occidentale della Galleria del Corso, simbolo capitale di Milano.
Nobili origini ha Castello Pozzi, dunque, anzi, nobilissime, se si tien conto che Tridenti Pozzi, disdegnando la topografia tradizionale del lusso altoborghese, lo vuole a ridosso di quello che, dal 1923, è il nuovo polo di attrazione internazionale: la Fiera Campionaria.

Oggi che questo quartiere è diventato «CityLife», emblema di Milano «portale per l’Europa», Castello Pozzi si trova naturalmente incastonato in un contesto urbano di altissimo profilo grazie alla geniale lungimiranza dell’antico proprietario. Quello attuale, la dinastia dei Denti, non è da meno e, dopo decenni di oblio, infonde nuova vita a Castello Pozzi promuovendo un finissimo restauro curato dall’architetto Anna Beltramini de Casati: si recuperano, tra l’altro, la scala a sbalzo ideata da Francesco Messina, l’inedita crociera in stile déco della torre, le vetrate policrome piombate di Murano, preziosi marmi e parquet.
Ma soprattutto Castello Pozzi restituisce, nella sua complessa articolazione volumetrica, la suggestiva sensazione di trovarsi davvero in un «castello», scrigno destinato a custodire gli stessi valori che hanno resa grande Milano: statura internazionale, solidità economica, dinamismo, intraprendenza, apertura all’arte e alla cultura.
Come Tridenti Pozzi, la cui collezione d’arte poteva rivaleggiare con le storiche raccolte milanesi, anche I Denti vedono nell’arte opportunità ancora inesplorate e, innalzando un monumentale “castello di carte” dinanzi al suo castello, con questa provocazione s’appresta a inaugurare un’epoca nuova, non soltanto per Castello Pozzi.
“Love art 4 all”
Più che di un «doppio» evidente e manifesto, si tratta qui di un «doppio metaforico», talora implicito o latente, talaltra di più agevole intuizione: in ogni caso, in quanto rapporto dell’altro con lo stesso, la categoria del «doppio» impone sempre, sul reale, prospettive inconsuete e forse, di primo acchito, inaspettate. Dunque un castello di carte, per definizione fragile e aleatorio quanto l’altro, con la sua solidità, sembra sfidare il tempo.
Si tratta di “carte” autentiche ma destinate a un “gioco d’azzardo” metaforico, quello dell’arte, da praticarsi, per la prima volta nella storia, addirittura coinvolgendo la Borsa valori…ecco un altro «doppio»: una dimensione ludica che si specchia, capovolta, nel severo contraltare di portata tale da spingere il mercato azionario verso un’epocale rigenerazione.
Riproducono, queste carte, opere d’arte realizzate da due grandi milanesi protagonisti della moda mondiale, Elio Fiorucci e Ottavio Missoni; Rinaldo Denti, che ha connaturale il gusto dell’azzardo, intende presentarli, in questa occasione, non come stilisti bensì nell’inedito ruolo di artisti tout court, sia pure con differenze tali da indurre a credere che il primo possa essere il «doppio» del secondo, e viceversa. Fiorucci, infatti, coordina scelte iconografiche che riassumono esemplarmente mezzo secolo di arte e di storia; Missoni, invece, come un antico «maestro d’arte» compone texture dal raffinato cromatismo che evocano l’andamento di suadenti partiture musicali.
Le loro opere si pongono dunque come i tangibili elementi costitutivi da cui prende forma il loro «doppio» virtuale, quel “castello di carte” che è, a sua volta, il «doppio» di un altro castello, Castello Pozzi, che ben concretamente accampa la sua sobria, raffinata e solidissima struttura nel contesto milanese.
Il titolo dell’opera era originariamente “ Dada100 , Missoni Vs Fiorucci anche Bill Gates nel weekend è povero “, ma per volontà di Rinaldo Denti questo titolo così complesso nel suo significato , è gelosamente non declinato , e si è’ optato dietro le indicazioni di Elio Fiorucci per “ Love Art 4 all “ un titolo pop che potesse aprire a tutti la propria interpretazione : che “ ognuno possa vederci ciò che vuole”.
L’opera è nata per autodistruggersi e a breve scomparirà rimanendo solo la memoria storica delle vostre foto, triste destino che ci accomuna tutti.